Ma buongiorno e ben ritrovati/e!
Dopo un mese abbondante ritorna Digital Journalism e un po’ l’abitudine di scriverla mi è mancata. Allora tante novità:
📚 Anche grazie ai vostri feedback nel sondaggio di agosto, arriva una nuova rubrica al posto di Offerte di lavoro. Si chiama L’hai letto: ogni settimana consiglierò un libro che mi ha parecchio colpito. Fatemi sapere se vi piace.
📲 Sto preparando le lezioni per la New Media Academy di cui sono co-direttore. Sono rimasti gli ultimi posti per il corso New Media, pensato per chi vuole padroneggiare Digital Journalism, Storytelling e Podcast. Trovate le info qui, e per qualsiasi richiesta o dubbio scrivetemi rispondendo a questa mail.
E ora, partiamo!
Questa è la storia di una vittoria e di una sconfitta.
E di sicuro, per ora, c’è solo il vincitore.
Si chiama Robby Starbuck. È un’opinionista americano conservatore. 340k follower su Instagram, 150k su Youtube e una crociata: esporre quelle che considera le storture woke delle aziende.
Negli ultimi mesi ha scatenato delle campagne virali contro aziende che hanno promosso programmi di Diversity, Equity and Inclusion al loro interno.
A luglio ha preso di mira Harley-Davidson. Che, senza neanche troppo discutere, ha fatto una marcia indietro clamorosa con un post su Twitter.
«Non abbiamo più un DEI da aprile né quote nelle nostre assunzioni», si è affrettata a dire. E rinuncerà a sponsorizzare alcuni eventi LGBTQ+.
Non è la prima vittoria di Robby Starbuck.
A luglio è stato il turno di Tractor Supply, colosso del cibo per animali, ad agosto di Deere & CO. (macchinari agricoli): entrambi hanno annunciato la dismissione dei programmi per la diversity e per la lotta al climate change.
Pochi mesi fa, un’inchiesta nata da una collaborazione tra Revelio Labs, Washington Post e Reuters, aveva mostrato negli ultimi mesi siano state lasciate a casa 300 figure D&I.
Un po’ per la crisi economica, un bel po’ di più per il dibattito politico.
«Il brand activism» non vende più come una volta.
In questi anni diversi brand hanno subito shitstorm dopo aver diffuso messaggi che contrastavano con quelli della maggior parte dei propri consumatori (i brand si schierano, sì, ma solo se quello schierarsi non irrita il proprio target di riferimento).
Vox cita i casi di Starbucks, Pepsi ma soprattutto quello di Bud Light, travolta dalle critiche dei suoi consumatori (in prevalenza conservatori) dopo una campagna con un’influencer transgender.
Il caso Harley Davidson è se vogliamo ancora più grave, visto che l’attività DEI non era legata (almeno in apparenza) a tematiche di comunicazione all’esterno, ma a pratiche interne. Harley Davidson promuoveva iniziative di Diversity perché - si immagina - pensava fosse cosa buona e giusta farlo.
Se pensa sia cosa buona e giusta, perché smettere di promuovere la Diversity? Perché alcuni potenziali clienti la pensano diversamente?
Ecco, molto di quello che avviene nel mondo si spiega con una battuta stupenda che ho letto su X: .
«I brand sono attivissimi a supportare lo stato attuale delle cose»
Riassume i miei dubbi sul chiamare brand activism alcune pratiche che magari possono rientrare nel normalissimo campo del marketing
Forse spesso è una questione di aspettative. È un fatto che ancora molti brand non siano un motore del cambiamento, quanto più un accompagnatore del cambiamento, che parte invece dai veri attivisti, quelli che rischiano qualcosa per le loro cause.
Ed è un fatto che quello che noi chiamiamo attivismo sia solo un caro e vecchio virtue signaling: un’operazione delle aziende per farsi vedere belle, brave e buone.
💡 Perché ci importa: perché è importante distinguere il brand activism, quello vero, da semplici operazioni di marketing e virtue signaling delle aziende. Il cui più urgente scopo è solo farsi vedere belle, brave e buone agli occhi dei consumatori.
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🗞️ «Nel 2010 arrivavano i primi contenuti brandizzati». La storia di HighSnobiety e di cosa significa avere un Magazine oggi?
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📚 L’hai letto?
Di cosa parla ✍️ È un pamphlet documentato e tutto sommato garbato su quello che da molti viene chiamato «attivismo da caroselli di Instagram»
Perché lo consiglio ✌️ È pieno di esempi e di prese di posizione: condivisibili o meno, ma comunque coraggiose e argomentate
Un passaggio bello 📝 Navigando tra social e media, si assiste ormai a una competizione fra vittime, una corsa per il riconoscimento del proprio dolore. E in questo universo, ogni gerarchia si dissolve
⚒ Tools
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✍️ Prima di chiudere
Daje, è bello riprendere quest’abitudine, e ci sentiamo giovedì!
Importante il caso Harley Davidson. Quando un brand mette le mani in discussioni che “vendono” senza essere disposte ad andare fino in fondo non fanno solo scivoloni commerciali ma danneggiano anche la causa che provano a sostenere, indebolendo la forza del messaggio
Sempre saggio :)