E ciao!!!
🍸 Ieri serata divertente all’Iter (il bar a cui verso regolarmente metà dei miei guadagni mensili). Diversi di voi sono venuti a bere la lista drink preparata (diciamo così) anche da me. Un drink si chiamava: «Aveva un Rolex al polso e una pallottola in testa», uno degli attacchi giornalistici più belli di sempre (un po’ di trash ci piace).
📆 Martedì 6 giugno alle 18.30 sono a Bologna a parlare di giornalismo. Registratevi qui e vediamoci!
🇺🇸 Il 28 giugno parto per New York. Starò 10 giorni a fare un master in Giornalismo alla Craig Newmark School of Journalism! Perciò sto raccogliendo un po’ di info cose, e vi chiedo aiuto se avete:
contatti per reportage o interviste a personaggi da fare lì (giornalisti, divulgatori, cose tipo l’intervista a Casey Newton per capirci)
posti fighi da cui lavorare
gemme nascoste da vedere.
Scrivetemi i vostri consigli.
E ora partiamo!
🌈 Una collezione Pride
Target è l’ottava catena di supermercati Usa: 500 mila dipendenti, 100 mld $ di fatturato. In vista del mese dell’orgoglio Lgbtq+ di giugno sviluppa una «collezione di oggetti Pride». Tra gli altri, «tazze “gender fluid”, calendari “queer all year”, e libri per bambini intitolati “Bye Bye, Binary”, “Pride 1,2,3” e “I’m not a girl”». Quindi prende i prodotti e li mette all’ingresso dei suoi 2 mila negozi sparsi per gli Usa.
🇺🇸 Apriti cielo
Nel Paese, e specialmente negli Stati del Sud, attivisti di destra, religiosi conservatori e parlamentari repubblicani attaccano l’iniziativa sui social media. Molti propongono un boicottaggio di massa. Altri arrivano a minacciare i dipendenti della catena. Trovate un po’ di video qui.
📉 Toh, 12 mld $ bruciati
Il titolo di Target crolla del 20% nel giro di pochi giorni. A non aiutare sono nuove critiche mosse al designer della collezione, autore secondo molti di messaggi aggressivi tipo: «Burn down the cis-tem». Da una capitalizzazione di 74 mld crolla a 62 mld: 12 miliardi $ bruciati.
😱 «Ok, ritiriamo tutto»
Target prende gli stand Pride e o li trasferisce nei retro o li ritira direttamente dai negozi. «Siamo preoccupati dalle crescenti minacce fatte ai nostri dipendenti», dicono giustamente i dirigenti, dopo diversi episodi di aggressioni verbali avvenute ai danni dei poveri commessi. Aggiungono che Target vende merchandise per il mese del Pride da un decennio (e le va dato atto che ha una storia decennale di impegni e donazioni a organizzazioni per la difesa dei diritti Lgbtq+), senza mai avere riscontrato proteste di questo tipo.
🍺 Una marcia indietro non isolata
Non è la prima marcia indietro. Recentemente Bud Light aveva fatto praticamente marcia indietro dopo che una pubblicità con un’influencer trans le era costata un boicottaggio da parte della destra americana (vendite fino a -40% in alcuni stati repubblicani).
🏳️🌈 Quest’anno il Pride è diverso
La storia è rappresentativa di un trend. Come ogni giugno, i brand riempiono i social di iniziative a favore della community Lgbtq+ (un tempo erano fantastiche quelle che mettevano il logo arcobaleno nei loro profili social nazionali, ma non in quelli di nazioni con legislazioni omofobe).
Quest’anno, come dice il Nyt intervistando diversi esperti di marketing, il clima politico è diverso. Perché diversi stati a guida repubblicana hanno introdotto legislazioni restringenti sui transgender e il tema dell’identità di genere è particolarmente scottante per parecchi conservatori.
Il problema si pone - più che per brand dotati di una clientela progressista come Nike o Starbucks - per brand dotati di una base più a trazione repubblicana. «Diversi osservatori e attivisti stanno ipotizzando che dopo queste marce indietro» di Target e Bud Light, «altri conservatori potrebbero sentirsi incoraggiati ad attaccare altre iniziative simili di altre società», scrive il New York Times.
🤬 Pride War Room
L’associazione Glaad, che collabora con 160 società, sta pensando di formare un team specializzato che lavori fianco a fianco con i brand per tutto il mese di giugno, per supportare le risposte da dare in caso di shitstorm come quelle successe a Bud Light o Target: una «Pride war room», l’hanno chiamata.
Per ora, quelli di Glaad e altri sei advocacy group hanno chiesto a Target di ripristinare il merchandise nei negozi e di rilasciare un comunicato riaffermando l’impegno a supportare la community Lgbtq+. In fondo, fanno notare, i casi passati hanno dimostrato che boicottaggi dichiarati tramite social si esauriscono in poco tempo (domani saremo presi da un’altra polemica).
🛼 Brand activism
«Non abbiamo mai avuto intenzione di partecipare a una discussione che divide le persone», aveva detto il Ceo di Bud Light dopo la marcia indietro. «Il nostro lavoro è riunire le persone davanti a una birra».
La frase riassume forse involontariamente un tema che mi appassiona parecchio:
Il brand activism è una parola a volte indicata per includere un ventaglio di iniziative di brand - magari degnissime - che però non necessariamente contemplano quello che per me è uno dei prerequisiti dell’attivismo: contemplare determinati rischi o svantaggi.
E al di là dei casi singoli, è sempre labile il confine tra il brand activism, cioè l’attivismo dei brand a supporto di cause come i diritti civili, e il virtue signaling, cioè l’associarsi a cause solo dove conviene, per mostrarsi belli, bravi e buoni e fare buon marketing.
🤷♀️ Attivissimi a supportare lo stato delle cose
Forse spesso è una questione di aspettative. Premesso che i brand hanno e avranno sempre di più un ruolo politico, è un fatto che ancora molti di loro non siano un motore del cambiamento, quanto più un accompagnatore del cambiamento, che parte invece dai veri attivisti, quelli che sono disposti a rischiare qualcosa per le loro cause.
Come ha ironizzato qualcuno, l’attivismo dei brand sui social spesso si riduce a questo:
A volte i brand sono solo attivissimi a supportare lo stato attuale delle cose.
💡 Cool Creators
Chi sono 👉 Key and Peele, duo di comici Usa.
Che numeri hanno 👉 4,6mln iscritti su Youtube.
Cosa fa 👉 Video comici che vanno da 2 a 10 minuti.
Perché mi hanno colpito 👉 Per come ironizzano in maniera raffinata ma tagliente su temi delicatissimi come il razzismo e il politicamente corretto in Usa.
🙌 Pezzi belli belli
🍕 I 100 piatti peggiori del mondo. E no, non ci sono i miei.
💔 Cose che ho imparato dopo la fine di una relazione. «Ho avuto delle brillanti idee per far soffrire il mio ex…».
🇷🇺 Ho visto sulla newsletter Technicismi questo canale TikTok che reimmagina il mondo, grazie all’AI, partendo da scenari irrealistici. Per esempio: come sarebbero gli Stati Uniti se fossero sotto il controllo dell’Unione Sovietica?
👍 100 brevi regole per una vita migliore. «#1 Alzati la mattina presto». Damn!
☠️ Dentro i gruppi del Metaverso in cui si condivide il dolore e la paura della morte. Pare Second Life, ma che belli questi pezzi.
🎦 I miei 20 anni da critico cinematografico del New York Times. «Qual è il tuo film preferito?». «La Dolce Vita».
⚒ Tools & How-to
«Nomina la cosa in 15 secondi». Praticamente il Chi vuol essere milionario per imparare l’inglese ❤️
Come impara le cose Mr. Beast.
Ma ordiniamo le nostre immagini.
«Ogni domenica faccio queste cose per aumentare di 10 volte la mia produttività».
💵 Work
Annuncio in esclusiva 👉 PubliTec cerca un grafico per impaginare riviste, ideare e progettare l’immagine coordinata (loghi, cataloghi, brochures, manifesti…) e realizzare grafiche per i canali social. Gradita la dimestichezza con il web marketing. Contratto full time, sede di lavoro Milano. Candidatevi scrivendo a Giada g.bianchessi@publitec.it, mettete «Annuncio Digital Journalism» come oggetto e come al solito fatemi fare un figurone!
Alanews cerca un Giornalista video.
Neulabs un Copywriter.
Team sistem vuole un Content creator.
Twenty business un Digital marketing manager.
Never before un Social media.
Daje, è tutto e buon 2 giugno.
W la Repubblica, buuuh i monarchici!
“Piú grande è il mercato, Montag, meno hai voglia di sollevare controversie, ricordalo!”
Letto or’ora in un libro del 1954, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury.
Ci sta a pennello
Riguardo il viaggio a New York, il posto più figo per lavorare secondo me è la NYC Public Library.
Posto più figo da visitare? Tutta Chinatown! Mentre Little Italy ormai è abbastanza cringe e da evitare, Chinatown sembra immune al cambiamento che avviene in qualunque altra area di New York.
Persona assolutamente più figa da incontrare? Il Casey di NYC: Casey Neistat! In bocca al lupo per il master e il viaggio!