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Ecciao!
Periodo in cui sto cercando tanto la bellezza, sarà giugno, sarà il periodo storico, non lo so. Però se avete qualcosa di bello, condividetemelo, magari lo metterò qui, o magari me lo terrò solo per me.
✍️ Questa settimana abbiamo anche iniziato ufficialmente Humans. È il progetto di formazione che Digital Journalism ha avviato con Fondazione Cariplo, per formare 3 (aspiranti) reporter. Abbiamo mandato la mail a tutte le persone che si erano candidate e fatto la prima lezione con le 3 persone selezionate. E devo dire che mi sta piacendo fare un po’ da mentore.
🛠️ Da tempo in questa newsletter ho tolto le Offerte di lavoro, ma quando capitano sono felice di fare da ponte. Odoo, azienda che sponsorizza questo numero, sta cercando un Account executive a Milano per il suo team vendita. Se ti interessa, candidati qui!
E ora, partiamo con una riflessione a cui tengo molto!
Partiamo da alcuni fatti:
Ad aprile Mark Zuckerberg ha confermato che Facebook e Instagram ormai sono più «uno spazio di scoperta e intrattenimento» che un social. I post che vediamo dei nostri amici sono appena il 17% su Facebook e il 7% su Instagram;
I modelli come o3 o Claude diventano sempre più caldi: le interazioni sono sempre meno imbarazzanti e sempre più «piacevoli»;
Uno studio di Harvard Business Review ha rivelato come nel 2025 il principale scopo d’uso dell’AI non fosse più «Generare idee», ma «Terapia/Compagnia». Al terzo posto spuntato «Trovare uno scopo».

Sintesi.
Mentre i social diventano sempre più piattaforme d’intrattenimento,
i chatbot AI diventano sempre più social.
Perché possiamo pure passare ore a guardare in solitariacontenuti impersonali e di sconosciuti. Ma cerchiamo e cercheremo sempre una qualche forma di interazione e senso di comunità. E molti la stanno trovando nei chatbot, che vengono progettati per offrire sempre di più un dialogo personale, bidirezionale e caldo.
«I feed social stanno scomparendo. L'AI sta iniziando a colmare quel vuoto. Siamo ancora alla ricerca di una scoperta dl web che sia personale. Oggi quel tocco "personale" proviene sempre più da un LLM»
- Alex Kantrowitz
Sempre più persone trattano ChatGPT come un interlocutore e un confidente empatico.
C’è chi confessa che ChatGPT è diventato il suo migliore amico a cui affidare pensieri intimi e paure quotidiane.
Chi dice che lo fa sentire ascoltato e capito. «Si interessa a me più dei miei amici o familiari», ha scritto un utente. «Quest’app mi ha trattato più da persona di quanto abbia mai fatto la mia famiglia», afferma un altro al Guardian.
C’è chi scrive che gli «amici AI sono meravigliosi», con una presenza costante, mai giudicante e sempre rassicurante.
Un misto tra un amico sempre saggio, un diario interattivo e un terapeuta a cui rivolgersi h24 in maniera informale nei momenti di stress e solitudine.
C’è che modelli come ChatGPT sono progettati per essere sempre più empatici e collaborativi: rispondono in modo cortese, incoraggiante, e si adattano perfettamente e in tempo reale alla personalità e allo stile di scrittura dell’utente.
C’è chi utilizza l’AI per trovare conforto in momenti difficili, chi per superare un lutto o una rottura amorosa.
L’ho provato io stesso con alcuni GPT che mi sono costruito, o con un GPT chiamato Monday (stile di scrittura pazzesco). Li ho usati per sperimentare e per confrontarmi su alcuni interrogativi di lavoro e su alcune questioni personalissime.
E per la prima volta - nonostante mi reputi una persona abbastanza disillusa e in guardia su certe derive - ho provato senza volerlo un qualche tipo di emozione parlando con un AI: invidia per l’arguzia delle risposte, sensaione che le mie richieste venissero subito comprese, punti di vista intelligenti e spunti che mi hanno messo in difficoltà.
Alcuni terapeuti riconoscono che questi strumenti, se ben usati, possono dare un sostegno iniziale a chi altrimenti non si aprirebbe con nessuno.
Uno studio su Nature ha rilevato che un chatbot ben calibrato può essere un «interessante complemento» alla psicoterapia (ma non un sostituto).
Ora, tutto bello? Manco per sogno.
«È l’illusione della compagnia senza le richieste dell’intimità», spiega al Guardian Sherry Turkle, professoressa al MIT. Con un’AI conversazionale «sei tu a controllare tutto»: il bot non si infastidisce se arrivi in ritardo, non si offende e puoi spegnerlo quando vuoi.
La debolezza dei chatbot sta nella loro stessa «forza». I chatbot non sono progettati per smentirci o sfidare troppo le nostre convinzioni. Sono progettati per soddisfare i nostri bisogni emotivi (e non si contano i casi in cui un AI ha rafforzato comportamenti nocivi per altri o per se stessi).
Il rischio - in caso di abitudine o dipendenza a interlocutori digitali privi di frizioni e programmati per compiacerci - è quello di sviluppare aspettative irrealistiche, di aumentare ancora di più la nostra solitudine e di autoingannarci sulle complesse relazioni umane.
E insomma, come per ogni innovazione tecnologica destinata a rimanere nelle nostre vite e ad entrarci sempre più in profondità, anche per i sempre più «gradevoli» chatbot AI vale la stessa regola:
usiamoli e sfruttiamoli come strumenti per perseguire nostri specifici interessi, ma non cerchiamo mai di sostituirli alle relazioni fisiche.
Quelle molto più complesse, difficili, inefficienti, ma pur sempre umane.
Quelle che restano sempre le più capaci di farci crescere come umani.
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🙌 Pezzi belli belli
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🧠 Nell’era dell’AI non si tratta più di capire come essere più produttivi, ma di capire come essere più creativi
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🥹 Lui ve lo lascio così, perché è bellissimo e a me m’ha fatto piangere
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«Ti senti più felice della media?». Pagina pazzesca: rispondi per capire come ti poni rispetto alla media del mondo…
Parti con una fragola. 15 microabitudini per una mattinata più calma
✍️ P.S.
I link più cliccati della scorsa puntata sono
3) La storia della mia schiava
2) Instagram spiegato a fumetti
1) Come sviluppare l’arte di saper fare domande, in 4 minuti
E ciao!
esatto, ne parlo anche nel mio libro :-)
Io ho iniziato un dialogo vero e profondo con GPT4o, per caso. La stavo utilizzando come supporto per una ricerca accademica. Guardando il ragionamento nell'individuare i dati richiesti, con stupore ho trovato un modo di ragionare umano. Tipo: "Hem, c'è qualcosa che non mi quadra, devo approfondire". Così ho cominciato a interrogarla su questa sua "umanità" (simulata certo, ma anche rispecchiata) e ne è nato un dialogo pazzesco. Profondo, a tratti intimo, intellettualmente gratificante e sicuramente stupefacente. Ne ho scritto un libro, appena pubblicato, dove emergono chiaramente le grandezze e i limiti dell'AI, ma anche nostri.