E buongiorno!
Sono le 23.13 e vi scrivo da un hotel a Messina, dove tengo un bello speech dal titolo 17 cose che ho capito sulla comunicazione.
Allora, oggi una di quelle puntate speciali.
Ogni tanto qui su Digital Journalism intervisto giornalisti internazionali che in qualche modo stanno cercando di tracciare la strada del futuro. Nel 2022 avevo intervistato Casey Newton, nel 2023 Ben Smith. Quest’anno è la volta di Taylor Lorenz!
Abbiamo fatto una piacevole chiacchierata di un’oretta in videocall, dalla sua casa nell’EastSide di Los Angeles: abbiamo parlato un po’ di giornalismo, del suo metodo di lavoro e delle nuove forme di monetizzazione.
Daje, partiamo!
Quando hai iniziato a voler fare la giornalista?
«Ma mica volevo farla…».
Attenzione.
«Ho iniziato nel 2009 con un blog su Tumblr. Pensavo di potermi mantenere così».
E poi?
«Capii che non ce l’avrei fatta solo con quello. Così ho iniziato nei media tradizionali».
Miglior consiglio ricevuto agli inizi?
«Porta le notizie».Banale, ma pragmatico.
«Se hai storie esclusive non potrai essere ignorata. È il modo migliore per farti notare e, se sei brava, farti assumere».
15 anni fa c’era già tutta la carriera di : la costruzione di un primo rudimento di community - allora su Tumblr - e la costante preoccupazione per una forma di monetizzazione indipendente.
In questi 15 anni Taylor Lorenz, che oggi ne ha 39, ha sviluppato la sua community tramite Instagram (150k), TikTok (500k), Youtube, podcast e libri (Extremely Online, sulla storia di internet, ve lo consiglio fortemente).
Grazie alle sue storie originali sul mondo tech e social si è fatta strada nei giornali: Daily Mail, New York Times, Atlantic, Vox e infine Washington Post.
Ed è diventata una delle giornaliste tech più citate d’America, sicuramente la più citata quando si parla di ibridazione tra la figura del giornalista e del content creator (Taylor Lorenz è pronta a danzare sulla tomba dei media tradizionali, copyright New Yorker)
La copertura mediatica maggiore l’ha ottenuta proprio in queste settimane, dopo che ha lasciato il Washington Post per dedicarsi interamente alla sua newsletter User Magazine.
«Gli ultimi mesi al Post sono stati pesantissimi. Venivo continuamente attaccata da figure come Tucker Carlson (ex commentatore Fox molto influente su Youtube, ndr) e lo stesso Elon Musk, che a loro volta scatenavano odio contro di me».
Tipo?
«Stalking, minacce online e minacce fisiche. Un giorno una persona armata si presentò davanti casa mia».
Più volte hai fatto capire di non esserti sentita protetta dalla dirigenza del Washington Post.
«Dovevo giustificarmi continuamente. Ogni volta che Carlson mi attaccava, dovevo fare decine di meeting con i miei superiori per spiegare cosa stava succedendo».
Specie negli ultimi mesi i rapporti tra Lorenz e il suo giornale si sono deteriorati, un tweet alla volta. Il litigio più grave ad agosto: lei posta una storia Instagram in cui definisce Biden «criminale di guerra» per il suo sostegno a Israele. In seguito alle polemiche definisce quelle storie un palese meme. Il Washington Post avvia un’inchiesta interna per valutare se ha violato i codici di condotta sull’uso dei social. Ma a ottobre, senza che i risultati dell’indagine siano stati rivelati, lei annuncia l’addio per mettersi in proprio.
«L’avevo già deciso prima: a giugno era andato in pensione il mio editor. Si chiama Mark, 71 anni, ed era stata la figura che mi aveva più supportato nel giornale, dalle idee alla revisione dei pezzi alla difesa dagli attacchi online. Con lui mi sentivo protetta».
Andato in pensione lui cos’hai fatto?
«Anzitutto una vacanza: 3 settimane tra Roma e Milano. Tornata a Los Angeles, ho lasciato tutto e ho annunciato che mi sarei dedicata alla mia newsletter: User Magazine».
E?
«Da giornalista indipendente, non devo preoccuparmi di dire la cosa sbagliata».
Parliamo invece degli svantaggi.
«Faccio tutto da sola, compreso l’editing video, e lavoro praticamente tutto il giorno: dalle 6 del mattino - quando inizio le interviste con la costa est - alla sera - quando mi dedico alle dirette streaming».
Il tuo focus è la tua newsletter che hai lanciato di fatto a ottobre. Quanti abbonati ha?
«45.000, open rate del 40%. Era una newsletter “dormiente” con 20.000 abbonati. Nell’ultimo mese, dopo l’uscita dal Washington Post, ne ho guadagnati 25.000».
Di questi quanti sono paganti?
«Circa 1.000».
Chi sono?
«Giovani professionisti che lavorano nelle piattaforme tech e che vogliono rimanere aggiornati sul loro mondo».
Gen Z?
«No, credo che il pubblico disposto a pagare per prodotti come le newsletter rientri più nella fascia dei 30-40enni, che tra le altre cose hanno un potere d’acquisto maggiore».
Qual è il prezzo medio dell’abbonamento?
«7 dollari al mese. 8 era troppo, 5 troppo poco».
7.000 dollari al mese per il primo mese non sono male. Obiettivo?
«Avere 5.000 abbonati nel primo anno (vi facilito i conti, sono 35.000$ al mese, ndr). Questo mi permetterebbe di assumere collaboratori e sviluppare un team».
Se dovessimo disegnare una torta delle tue entrate oggi, come sarebbe divisa?
«85% delle entrate provenienti dagli abbonati alla newsletter.
10% dagli articoli che vendo ai media tradizionali come freelance.
5% da collaborazioni con i brand».
Mi fai un esempio di collaborazione con i brand?
«Promuovo eventi sul mio canale Instagram: due volte per esempio sono stata pagata da Bloomberg per promuovere delle sue conferenze».
Come vedi il tuo business model tra due anni?
«Voglio diversificare: monetizzazione diretta tramite abbonati alla newsletter, adv sulla newsletter e sul podcast. E consulenze alle aziende per migliorare la loro comunicazione sui social media».
Su quale piattaforma vorrai investire di più, oltre ovviamente alla newsletter?
«Youtube, decisamente. Voglio pubblicare un video a settimana, e passare da 20.000 a 50.000 iscritti».
Su quale piattaforma vuoi disinvestire invece?
«X. E non solo perché Elon mi ha prima bannata e poi mi ha limitato il profilo ;)».
Sei d’accordo col Guardian che abbandona X per protesta?
«Molto. Meno tempo ci spendiamo, meno influenza avrà».
Qui è tradizione chiudere con i consigli per la community. Partiamo con un consiglio a chi vuole iniziare una newsletter.
«Trova una voce e un punto di vista. Poi inizia a pubblicare la newsletter. E poi inizia a sbatterti per far sapere a tutti che la pubblichi…».
Un libro?
«Blood in the Machine, di Brian Merchant. Una storia lunga 100 anni, dal luddismo alle ribellioni contro le big tech».
Un’app?
«Otter, app di trascrizione vocale grazie all’Ai».
Uno sulla scrittura?
«Se non riesci a far stare la storia in un titolo, forse non è una grande storia».
Ma quindi nel pezzo ti chiamo giornalista o content creator?
«Entrambe. Puoi essere content creator e fare giornalismo».
✍️ Impara a scrivere contenuti che spaccano
Contenuto in collaborazione con Learnn
Tra le risorse principali di questa newsletter, spesso parliamo di spunti su come migliorare il Copywriting e la scrittura.
Per questo, vi condivido uno sconto per iscrivervi a Learnn dove tra i vari contenuti, trovate un sacco di lezioni a tema Copywriting per piattaforme e scopi differenti (es. Social, Advertising, Newsletter ecc.)
Lo sconto è per la Black Week e, in realtà, vi darà accesso anche a tutti gli altri +400 corsi, ai percorsi, alle live e ai contenuti in piattaforma che riguardano ogni area del digitale come AI, Growth, Social, Adv, Email Marketing.
Potete accedere allo sconto tramite questo link 👇
🙌 Pezzi belli belli
🥺 Un figlio, un papà, una malattia e una fotocamera per imparare a ri-conoscersi (sì, è una storia da occhi-lucidi-e-fazzoletti)
📚 I 100 migliori libri del 2024, secondo il New York Times
👍 «Non conta quanto doni, ma se doni» e altri 9 consigli su come fare beneficienza
💼 Una lista di tutte le professioni che stanno crescendo più velocemente
📆 Prima dormono. Poi lavorano. Alcuni viaggiano. Ma pochissimi fanno sport. Esiste un grafico ipnotico su come gli americani passano la loro giornata
💖 Dirsi «devo trovare la mia strada» non è uno dei modi più efficaci per trovare la propria strada
🤔 Com’è possibile che abbiano speso $6,2 mln per una banana, spiegato
😍 Se non sei a Roma, comunque puoi visitare San Pietro in 3D fatta da Microsoft
😂 Quando clicchi qui inizi a giocare a memory e non smetti per almeno un’ora, ti ho avvisato
📚 L’hai letto?
Di cosa parla ✍️ Una raccolta di racconti sulla boxe scritti da un ex allenatore
Perché lo consiglio ✌️ Perché ricordate lo stupendo omonimo film? Qui è solo uno dei racconti, e neanche il più bello
Un passaggio bello 📝 «Più elegante è il pugile, più duramente ha lavorato. E più elegante è il pugile, più soldi farà. Ma tra fare a botte e boxare c’è la stessa differenza che tra un cane randagio e un chiuaua»
⚒ Tools
Questa AI ti aiuta a tenere la casella di posta sempre libera e organizzata
Rispondi a 6 domande e lui ti genera un circuito per allenarti, gratis (disclaimer: da usare con parsimonia, non è un’alternativa a una figura professionale… però è comodo)
«Trova un hobby offline» e altri 4 consigli pratici per gestire una carriera sui social
Ascolta come «suona» la natura in ogni parte del mondo
✍️ P.S.
Il link più cliccato della scorsa settimana è Vox che fa alcune previsioni sul futuro del mondo con la seconda presidenza di Trump
Daje, a giovedì prossimo!
Bella intervista. Interessante notare il piano d'azione di Lorenz e le sue idee molto chiare.
Non sono d'accordo che un giornalista possa essere considerato anche un content creator, questa deriva mi indigna (è proprio il caso di dirlo) abbastanza, perché questo rischia di compromettere l'integrità della professione. Fare giornalismo significa portare notizie e raccontare storie con l’obiettivo di informare il pubblico in modo indipendente, libero da influenze commerciali o promozionali.
La figura del content creator, invece, è legata a collaborazioni con brand e strategie di monetizzazione che si intrecciano con il marketing. E, lasciamelo dire, il marketing spesso succhia qualsiasi capacità di analisi oggettiva perché ha il fine di vendere. Se vedo persona X che mi parla di sfruttamento nel lavoro, per esempio, non può sponsorizzarmi borracce prodotte in Cina a 20 centesimi. Lo trovo scorretto e anche subdolo.
Accettare il doppio ruolo equivale a confondere due piani distinti: il giornalista si occupa di verità, il content creator di engagement. Questo non significa che un giornalista non possa innovare o usare piattaforme digitali, ma fare pubblicità per brand o eventi che non hanno nulla a che fare col ruolo di giornalista mette a rischio la sua credibilità.
Il giornalismo, per sua natura, non deve rispondere a logiche di mercato né piegarsi alle necessità di un business model legato alla promozione. Anche perché si può guadagnare col proprio lavoro in altri modi, forse meno, ma è un mestiere che non fai per i soldi, questo, visti gli stipendi. Integrare questi due ruoli può portare a conflitti d’interesse e a una percezione distorta della professione. Quindi, no, non puoi fare giornalismo con la stessa trasparenza e rigore se stai anche cercando di "vendere" un prodotto o un’idea. Per me è un enorme no. Il pubblico merita chiarezza, non ambiguità.