Non sono d'accordo che un giornalista possa essere considerato anche un content creator, questa deriva mi indigna (è proprio il caso di dirlo) abbastanza, perché questo rischia di compromettere l'integrità della professione. Fare giornalismo significa portare notizie e raccontare storie con l’obiettivo di informare il pubblico in modo indipendente, libero da influenze commerciali o promozionali.
La figura del content creator, invece, è legata a collaborazioni con brand e strategie di monetizzazione che si intrecciano con il marketing. E, lasciamelo dire, il marketing spesso succhia qualsiasi capacità di analisi oggettiva perché ha il fine di vendere. Se vedo persona X che mi parla di sfruttamento nel lavoro, per esempio, non può sponsorizzarmi borracce prodotte in Cina a 20 centesimi. Lo trovo scorretto e anche subdolo.
Accettare il doppio ruolo equivale a confondere due piani distinti: il giornalista si occupa di verità, il content creator di engagement. Questo non significa che un giornalista non possa innovare o usare piattaforme digitali, ma fare pubblicità per brand o eventi che non hanno nulla a che fare col ruolo di giornalista mette a rischio la sua credibilità.
Il giornalismo, per sua natura, non deve rispondere a logiche di mercato né piegarsi alle necessità di un business model legato alla promozione. Anche perché si può guadagnare col proprio lavoro in altri modi, forse meno, ma è un mestiere che non fai per i soldi, questo, visti gli stipendi. Integrare questi due ruoli può portare a conflitti d’interesse e a una percezione distorta della professione. Quindi, no, non puoi fare giornalismo con la stessa trasparenza e rigore se stai anche cercando di "vendere" un prodotto o un’idea. Per me è un enorme no. Il pubblico merita chiarezza, non ambiguità.
Io invece credo che i fatti dimostrino il contrario. Vedi l’esempio di Francesco (Oggiano, ma anche Costa), che sono sia giornalisti che content creator. Se vogliamo vederla sotto un’ottica diversa, “piegano” il marketing e lo plasmano per pubblicizzare il lavoro che fanno. E questa mi sembra un’ottima strategia per ottenere un seguito sempre più vasto del proprio lavoro. 😉
Capisco il punto, ma resto convinta che mescolare i due ruoli sia una scivolata pericolosa per l’integrità del giornalismo. Oggiano e Costa, ma anche una grande professionista come Charlotte Matteini, ok, sono bravi e hanno saputo sfruttare le dinamiche digitali per farsi seguire di più, ma essere content creator non è esattamente il loro core. Usare il marketing per promuovere il proprio lavoro giornalistico è una cosa; farsi sponsor di brand è un’altra storia.
Il rischio, quando un giornalista si trasforma in un brand personale, è che venga percepito più come un prodotto che come una fonte affidabile. È una linea neanche troppo sottile, quella tra raccontare il mondo e vendere qualcosa, e se la si oltrepassa, si perde la credibilità. Va bene ampliare il pubblico, ma piegarsi troppo al marketing vuol dire giocare con il fuoco: alla fine, sarà lui a piegare te.
Costa proprio poco tempo fa parlava di una questione importante: gli adv. I giornalisti, per etica, non possono - se iscritti all’albo - e non potrebbero in ogni caso per etica anche senza tesserino…personalmente sono una giornalista e anche creator, nessun problema su questo. Ma gli adv credo non siano una pratica da seguire, se vuoi davvero fare il giornalista.
Bella intervista. Interessante notare il piano d'azione di Lorenz e le sue idee molto chiare.
Non sono d'accordo che un giornalista possa essere considerato anche un content creator, questa deriva mi indigna (è proprio il caso di dirlo) abbastanza, perché questo rischia di compromettere l'integrità della professione. Fare giornalismo significa portare notizie e raccontare storie con l’obiettivo di informare il pubblico in modo indipendente, libero da influenze commerciali o promozionali.
La figura del content creator, invece, è legata a collaborazioni con brand e strategie di monetizzazione che si intrecciano con il marketing. E, lasciamelo dire, il marketing spesso succhia qualsiasi capacità di analisi oggettiva perché ha il fine di vendere. Se vedo persona X che mi parla di sfruttamento nel lavoro, per esempio, non può sponsorizzarmi borracce prodotte in Cina a 20 centesimi. Lo trovo scorretto e anche subdolo.
Accettare il doppio ruolo equivale a confondere due piani distinti: il giornalista si occupa di verità, il content creator di engagement. Questo non significa che un giornalista non possa innovare o usare piattaforme digitali, ma fare pubblicità per brand o eventi che non hanno nulla a che fare col ruolo di giornalista mette a rischio la sua credibilità.
Il giornalismo, per sua natura, non deve rispondere a logiche di mercato né piegarsi alle necessità di un business model legato alla promozione. Anche perché si può guadagnare col proprio lavoro in altri modi, forse meno, ma è un mestiere che non fai per i soldi, questo, visti gli stipendi. Integrare questi due ruoli può portare a conflitti d’interesse e a una percezione distorta della professione. Quindi, no, non puoi fare giornalismo con la stessa trasparenza e rigore se stai anche cercando di "vendere" un prodotto o un’idea. Per me è un enorme no. Il pubblico merita chiarezza, non ambiguità.
Io invece credo che i fatti dimostrino il contrario. Vedi l’esempio di Francesco (Oggiano, ma anche Costa), che sono sia giornalisti che content creator. Se vogliamo vederla sotto un’ottica diversa, “piegano” il marketing e lo plasmano per pubblicizzare il lavoro che fanno. E questa mi sembra un’ottima strategia per ottenere un seguito sempre più vasto del proprio lavoro. 😉
Capisco il punto, ma resto convinta che mescolare i due ruoli sia una scivolata pericolosa per l’integrità del giornalismo. Oggiano e Costa, ma anche una grande professionista come Charlotte Matteini, ok, sono bravi e hanno saputo sfruttare le dinamiche digitali per farsi seguire di più, ma essere content creator non è esattamente il loro core. Usare il marketing per promuovere il proprio lavoro giornalistico è una cosa; farsi sponsor di brand è un’altra storia.
Il rischio, quando un giornalista si trasforma in un brand personale, è che venga percepito più come un prodotto che come una fonte affidabile. È una linea neanche troppo sottile, quella tra raccontare il mondo e vendere qualcosa, e se la si oltrepassa, si perde la credibilità. Va bene ampliare il pubblico, ma piegarsi troppo al marketing vuol dire giocare con il fuoco: alla fine, sarà lui a piegare te.
Costa proprio poco tempo fa parlava di una questione importante: gli adv. I giornalisti, per etica, non possono - se iscritti all’albo - e non potrebbero in ogni caso per etica anche senza tesserino…personalmente sono una giornalista e anche creator, nessun problema su questo. Ma gli adv credo non siano una pratica da seguire, se vuoi davvero fare il giornalista.
Bellissima. Grazie Francesco. Credo che l'abbonarsi più ai giornalisti che ai giornali potrebbe diventare una consuetudine anche qui.
Che bella scoperta, la newsletter della Lorenz! Grazie Fra, ogni settimana porti contenuti sempre più interessanti ❤️💪🏼